LA PROF. NON PUÒ INSULTARE ED AGGREDIRE I SUOI ALUNNI.
- Avv. Domenico Buccafurri
- 4 mar 2021
- Tempo di lettura: 2 min

Con Sentenza n. 7011 del 23 FEBBRAIO 2021 la Suprema Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto da una professoressa, in quanto ritenuta colpevole, in primo grado ed in appello, del reato di abuso dei mezzi di correzione per aver pesantemente insultato ed, altresì, aggredito i propri alunni di 14-15 anni.
LA VICENDA.
Nel corso dell’anno scolastico, l’insegnante si era rivolta ai propri studenti, in numerose occasioni, con insulti gravemente offensivi ed ingiuriosi (“deficiente”, “tr…a”, “troverai un mona a cui fregherai i soldi”, “sperma marcio”, “marciume”, “lei sarà una fallita e si farà mantenere da un p…a a cui darà il c…o”), mostrando loro il dito medio, spintonandoli e colpendo gli stessi con libri e registri.
Tali condotte integravano, secondo i Giudici di merito, il reato di abuso dei mezzi di correzione, in quanto ledevano la dignità degli studenti, con pericolo di una malattia nel corpo o nella mente.
LA DECISIONE E LE MOTIVAZIONI.
La professoressa proponeva, pertanto, ricorso per Cassazione della Sentenza della Corte d’Appello di Venezia, la quale aveva sì riformato il provvedimento di primo grado, riducendo la pena a mesi 3 di reclusione, sulla base di 3 motivi ritenuti infondati dalla Suprema Corte.
In ordine al primo motivo, la Cassazione ha ritenuto non sussistente la nullità del decreto di citazione a giudizio per omesso avviso all’imputata della facoltà di richiedere la sospensione del procedimento con la messa alla prova, poiché tale richiesta poteva, comunque, essere proposta in primo grado sino all’apertura del dibattimento.
La sospensione con messa alla prova consiste, infatti, nello svolgimento per l'imputato di un lavoro di pubblica utilità, oppure nell’esecuzione di condotte riparative, per eliminare le conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, ovvero nel risarcimento del danno cagionato.
L’esito positivo della messa alla prova consente all’imputato di estinguere il reato per cui si procede.
La Suprema Corte ha, inoltre, ritenuto insussistente il vizio di nullità del decreto di citazione per omessa o insufficiente enunciazione del fatto in forma chiara e precisa, in quanto la condotta criminosa è stata descritta in maniera precisa nel capo di imputazione.
Infine, la Cassazione ha chiarito che la ricostruzione effettuata dal Giudice d’appello è stata corretta, in quanto ha esattamente valutato l’intero compendio probatorio, con particolare riferimento alla documentazione prodotta ed alle dichiarazioni dei testimoni.
Le dichiarazioni dei testimoni, tra le quali quella del dirigente della scuola (che ha riferito di numerose segnalazioni orali e scritte da parte non solo di alunni, ma anche di genitori ed altri insegnanti, nonché della duplice sanzione disciplinare inflitta alla professoressa) sono state ritenute attendibili, genuine e, pertanto, veritiere.
Pertanto, le continue aggressioni, verbali e fisiche, e le umiliazioni inflitte con particolare riferimento alla “sfera sessuale” dei ragazzi, non solo non consentono il normale processo educativo degli stessi, ma hanno procurato un grave pericolo per la loro salute mentale, ancora in fase adolescenziale, attesa l'età di 14-15 anni.
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